UE e Balcani, una relazione complicata.
L’Ucraina ha presentato domanda di adesione all’UE nel febbraio 2022 e ha ottenuto lo status di paese candidato all’adesione all’UE nel giugno 2022. Candidato non significa che dopodomani entrerà a far parte della UE, il processo è lungo e complicato. Sarebbe lungo e complicato anche l’ottenimento dello status di “candidato”, ma nel caso ucraino OVVIAMENTE e giustamente la UE è passata sopra diversi step intermedi; tale decisione ha riacceso le luci sul palco Balcanico (e non solo): in politica estera una decisione ha il potere di quel battito d’ali di farfalla che potrebbe scatenare l’inferno, in questo caso ha tirato su la polvere che da un po’ di tempo giaceva sotto il tappeto rispetto alla relazione tra i paesi WB6 e la UE.
(SPOILER: questo articolo sarà molto lungo, praticamente una miniserie di Netflix, puoi decidere di procedere al binge integrale o goderti il viaggio capitolo dopo capitolo quando ti va, basta che leggi.)
Ma chi sono i WB6?
I Sei paesi dei Balcani più vicini a noi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Feps Europe ha rilasciato tre approfondimenti sulla tematica che potete trovare qui. Si parla letteralmente dei nostri vicini di casa, ci divide un pezzo di mare o qualche km di frontiera attraverso Slovenia e Croazia che sono già Europa ed Euro, perciò per capirci meglio ed avere un P.O.V d’eccezione abbiamo fatto una chiacchiera con Dario D’Urso.
Dario è l’autore del policy brief sul Montenegro e, oltre a questo ha passato un bel po’ di tempo a Sarajevo lavorando su e per le tematiche europee: nella nostra intervista, riferendosi alla società bosniaca ha più volte detto “è una società che si sente da tempo europea” allora pronti via, perché siamo in questa situazione di Lost in Accession per la UE?
Lost in Accession. Tra la candidatura e l’adesione ci passa una vita (e può darsi non accadrà mai e magari andrà bene lo stesso)
Si discute di accesso alla UE da parte dei Balcani da una vita e per capirci snocciolo le date di quando i WB6 hanno ottenuto lo status di candidati ufficiali: Macedonia del Nord (candidata dal 2004), Montenegro (candidato dal 2010), Serbia (candidata dal 2012), Albania (candidata dal 2014), Bosnia ed Erzegovina (candidata dal 2022), Kosovo in fase di richiesta di candidatura). Le richieste di molti di loro risalgono ad anni e anni prima e per -forse- entrare nella EU è necessaria…un’altra vita. Perciò la prima domanda è LA DOMANDA: ma i Barcani (Western Balcans) si siederanno mai ai tavoli europei? E quanto bene farebbe alla UE la loro presenza?
D. Che questi paesi si siedano ai tavoli europei è forse un “Wishful Thinking” nonostante a fine Agosto Charles Michel abbia dichiarato che “dobbiamo essere pronti all’allargamento entro il 2030”.
Certamente entrare nella UE farebbe benissimo ai WB6, sono paesi piccoli, mercati piccoli dai quali più facilmente le persone cercano di andare via. Prima di arrivare al punto di aderire alla UE è necessario sciogliere tensioni e problematiche politiche e strutturali importanti, fragilità che non possono essere “importate”, ad esempio le tensioni etniche laddove esistono e poi c’è tutta la questione della loro situazione statutaria: nella realtà non sono pienamente democratici, il loro percorso politico, le loro strutture cardine -giustizia inclusa- sono deboli, guardiamo alla Serbia per esempio, ma non solo la Serbia. La Bosnia è un paese fragilissimo sotto molti aspetti, certo la UE integrando questi paesi chiuderebbe un buco e colmerebbe le influenze di potenze terze e soprattutto colmerebbe un torto storico.
Si parla di modificare le regole di accesso all’unione con un processo step by step, un sistema proposto da Francia, Austria, oltre che da alcuni think tank, in più se vogliamo guardare ancora più indietro troviamo il processo di Berlino voluto dalla Merkel. (Questa ipotesi è ben spiegata dei paper Feps ndr) Potrebbe essere una soluzione?
D. In realtà cambiare il percorso, qualora ci si mettesse d’accordo su quale e come, non cambierebbe molto lo stato dei fatti. In questi anni, oltre un decennio, nei quali il Montenegro e la Serbia han ottenuto lo status di candidati, di decisioni per cambiare fattivamente nel senso “istituzionale” europeo non ne sono state prese, non sono andati avanti. In Serbia Aleksandar Vučić è presente nella vita Serba da sempre e ci rimarrà, è un problema politico e democratico e quando un Paese decide di voler affrontare il percorso di adesione deve attenersi ai Criteri di Copenhagen (qui), supponendo anche un processo a step i paesi coinvolti al momento non possono non soddisfare appieno l’Art. 2 del TEU -ovvero la base fondante della UE- il quale precisa a chiare lettere che deve esserci rispetto della dignità umana, democrazia, libertà, uguaglianza, certezza del diritto e dei diritti umani, i WB6 han dei problemi strutturali nel raggiungimento pieno di questo pilastro… Oltre a questo esistono delle difficoltà rispetto ai capitoli 24 e 25 dell’Acquis Comunitario ovvero: Cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni e unione doganale.
I Problemi con la P maiuscola che allontanano i Balcani dalla UE.
D. Ora, un processo semplificato non risolverebbe forse appieno i problemi strutturali di questi paesi nel volere-potere raggiungere i requisiti MINIMI, perché prima c’è da fare i conti con:
- L’incapacità organizzativa, la fragilità statutaria e l’immobilità di ricambio politico (le stabilocrazie, ci torneremo)
- Il fatto che 4 paesi su 6 abbiano affrontato due transizioni epocali: l’affrancamento dal socialismo e la guerra.
- La volontà politica. L’esempio della Croazia è stato importante in questo senso, una volta implementati gli standard europei la cosiddetta “rule of law” l’ex premier Ivo Sanader è stato condannato alla reclusione per sottrazione di fondi pubblici. Diciamo quindi che ai politici ad oggi in carica NON conviene minimamente avvicinarsi agli standard richiesti.
Last but not least il TEMPO.
La UE ha perso un sacco di tempo e la forza propulsiva verso il cammino di una decina di anni fa si sta esaurendo da una parte a causa dei sistemi politici presenti -appunto- che ci rimetterebbero potere acquisito e dall’altra perché la società civile è sempre più disillusa, anche se è nei fatti è super europea, le generazioni più giovani di Sarajevo sono le stesse che abitano le altre capitali europee, l’Europa è nei fatti più vicina che mai.
Le Quattro Comari + 1
E arriviamo a una domanda topica. Abbiamo capito che in questo contesto le zone grigie non mancano e quando ci sono zone grigie qualcuno prova sempre a trarne vantaggio. Nel caso balcanico parliamo dele 5 Comari (nome assolutamente inventato al momento ndr): Russia, Cina, Turchia, Arabia Saudita, il + 1 è la Chiesa Ortodossa per cui vale un capitolo a parte. Proviamo a fare chiarezza? Spauracchio o problema serio?
D. Le ingerenze di questi paesi esistono, ma forse il problema è sovradimensionato benché sia necessario farci caso.
Russia e Cina non hanno interesse diretto in queste regioni, ma le usano a fini strumentali e tattici.
La Russia ha come obiettivo quello di dare fastidio là dove fa male, ovviamente all’Europa. Non trae molti vantaggi dalle relazioni coi Balcani, almeno dal punto di vista economico: l’esempio è quello di Gazprom in Serbia. Alla fine, Vucic ha firmato l’accordo di fornitura con i russi per altri tre anni, per i russi non è un guadagno economico, ma strategico, la stessa ratio che usa per Sputnik nel diffondere notizie filo-russe e dubbie. La Russia usa i Balcani pigramente, ma in modo furbo.
La Cina è approdata nei Balcani con la stessa ratio colonizzatrice che usa con l’Africa. Lo abbiamo visto in Montenegro: arriva costruisce infrastrutture che non potranno mai essere ripagate, poi si tiene quelle e molto, molto altro di più strategico. Nel caso dell’autostrada montenegrina si parla di un progetto folle da un miliardo di euro voluto dal “patron” del paese Milo Dukanovic. Al momento l’autostrada punta verso il nulla e pure 400 milioni di euro son spariti più o meno nel nulla (qui).
La Turchia. Si muove con passo felpato tra Kosovo, Albania e Bosnia e come? Con danaro e soft power. Ankara sta finanziando l’autostrada tra Belgrado e Sarajevo…anzi le DUE autostrade perché ovviamente Bosnia e Serbia non sono riuscite a mettersi d’accordo su quale tratta scegliere e ne è uscita una sorta di circonvallazione gigante la cui costruzione è e sarà solo turca (qui). Poi la politica, i leader del partito musulmano in Bosnia (SDA) non solo stendono tappeti rossi alla Turchia, ma la famiglia Izbetegovic e la famiglia Erdogan sono amiche.
Non solo Bosnia per la Turchia, ricordiamo che la compagnia aerea albanese è nelle mani di quella turca.
insomma, l’impero (ottomano) colpisce ancora e a proposito di imperi: l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi cosa ci fanno tra i Balcani? Soft Power. Abu Dhabi e Belgrado; Riyadh e Sarajevo, non ci sono ragioni solo economiche, ma anche e soprattutto politico-religiose. Si finanziano scuole, istruzione, centri di culto e qualche centro commerciale, investimenti immobiliari, insomma il pacchetto all-inclusive dei principi mediorientali.
+1 La Chiesa Ortodossa
La chiesa ortodossa è un capitolo a parte e un capitolo importante. Tra tutte le ingerenze questa è sicuramente più pervasiva e sociale oltre che ampiamente politica. La Chiesa ortodossa è lo strumento di soft power serbo, che usa un in quei paesi dove si trova una componente serba (Bosnia, Montenegro, Kosovo). Ovviamente le sue posizioni sono discutibili e tranchant, han da dire un po’ su tutto (qui un esempio) ed in particolare hanno la capacità di smuovere consensi e dissensi perciò molti politici se la tengono cara, ma altrettanti cercano di delimitarne, se non azzerarne, il potere e in particolare val la pena ricordare di come il montenegrino Milo Đukanović abbia provato a far fuori la Chiesa Serba Ortodossa con una legge che in pratica non riconosceva più la proprietà dei loro luoghi di culto (qui l’approfondimento). La questione della Chiesa serba è stato un fattore che ha contribuito: alla non rielezione di Dukanovic[13] [cf4] , la sfiducia del governo successivo di Dritan Abazović e ha infervorato le discussioni per mesi e mesi, fino alle nuove elezioni di parlamento e presidente, il quale -il Milatović- ha promesso mari e monti per vincere e tra le tante cose una “riconciliazione” il che significa una distensione nei rapporti con qualsiasi cosa serba…
Il Kosovo
Dunque, il Kosovo ha inviato la sua candidatura di adesione nel decembre del 2022 e fino a qua tutto bene, a parte il fatto che la Serbia non lo riconosce e così pure Cipro, la Grecia, la Romania, la Slovacchia e la Spagna. Come è possibile gestire una situazione di questo tipo? È evidente che con l’attuale sistema europeo anche se il Kosovo riuscisse in tempo zero a raggiungere tutti gli obiettivi per l’adesione, non otterrebbe mai il voto unanime che gli serve per entrare in UE. Come si risolve?
D. Si tiene il processo aperto a vita, o quasi. Però la risoluzione della situazione tra Serbia e Kosovo una questione di primaria importanza per entrare nella UE. Come dicevamo all’inizio non si possono portare in Europa le problematiche regionali perché non fa bene all’Europa stessa.
Poi per il riconoscimento…Serbia a parte i paesi che hanno qualche problema di indipendentismi han preferito soprassedere, i motivi son certamente interni.
Ad ogni modo la situazione attuale è la seguente: Il nuovo premier kosovaro Albin Kurti, a differenza dei precedenti, non ha molta voglia di lisciare il pelo ai serbi, benché la Serbia sia un cruciale partner commerciale e dunque in qualche modo son obbligati a parlarsi.
Il Punto è che la Serbia vuole esercitare un potere politico più importante in Kosovo e se prima con Hashim Thaçi riusciva a spuntarla, ora fa più fatica a far passare le sue richieste. Hashim Thaçi è scomparso dai radar perché è stato arrestato per crimini di guerra nel 2020 e fa parte di quella “prima generazione” di politici kosovari legati a doppio filo con l’esperienza della guerra del 1999 che nel corso degli anni si son accaparrati sempre più potere; lui e Vučić avevano costruito una specie di intesa personale, seppur con posizioni diverse.
Kuti invece è diverso, ha una pasta progressista e in Europa si è parlato così tanto di possibili e probabili leader di stampo progressista in quelle terre che, quando è arrivato, non lo han visto. Ma Kurti rimane pure sempre leader di un paese nato da mille e più caveat, dal volere di forze esterne e ne paga un po’ il prezzo a livello politico per la serie: “va benissimo, ma anche un po’ meno, meglio non volare troppo in alto”
Le Stabilocrazie Balcaniche e un Futuro che può essere solo europeo.
A questo punto vale la pensa fare un approfondimento politico.
Nei Balcani non esistono democrazie al 100%, è stato coniato tempo fa un termine: stabilocrazie, una parola che dipinge bene la situazione.
In pratica le persone che hanno gestito i governi appena dopo la guerra, son sostanzialmente rimaste lì. Abbiamo citato Aleksandar Vučić più volte, lui c’era con Milošević e c’è pure adesso e probabilmente ci sarà anche dopodomani. Questo per dire che nonostante lui, come altri ad esempio il montenegrino Milo Đukanović non siano -mai- stati personaggi integerrimi, hanno in qualche modo garantito la stabilità in quell’area e la stabilità era ciò che interessava alla UE e al mondo intero. Solo che non si può scambiare la stabilità per democrazia e infatti le opposizioni sono praticamente inesistenti.
Ogni tanto spunta qualche protesta, ma de facto non hanno abbastanza forza e ruolo politico per poter essere davvero incisive. Questo vacuum politico non è un bene, le conseguenze le paghiamo tutte oggi, un momento geopolitico nel quale per poter davvero integrare questi paesi nella grande famiglia europea non servono “stabilocrati” ma un gruppo dirigente che possa scavalcare le pressioni e i bisticci degli attori locali, così frammentati e variegati e che garantisca capacità amministrativa e organizzativa.
Si parla molto di Balcani e si continuerà a farlo
Si parla molto di Balcani e si continuerà a parlarne perché la questione Ucraina ha spinto questa discussione ad un livello superiore. Ora, nei piani dell’Europa di Von Der Leyen, l’allargamento dei confini europei è sul tavolo, un’Europa a 27 non basta e se davvero non basta allora sul tavolo va messo non solo una strategia pazzesca per accelerare il processo, ma anche un ripensamento di come vengono prese le decisioni tra gli stati membri: una tematica che sicuramente sarà un liet motiv delle elezioni 2024.
Abbiamo detto e capito che la UE ha perso tempo, 10-15 anni che hanno annacquato la spinta propulsiva dell’adesione MA, ma questi paesi nonostante tutto sono vicini all’Europa, vogliono l’Europa: è un fatto. L’Europa sono i loro confini, confini vicinissimi e facili, nonostante le ingerenze terze la UE ha il suo potere strategico. Come fare a diffonderlo sempre più nella società civile? Come fare a tenere sempre più vicine le generazioni più giovani ai coetanei e le coetanee di Parigi, Roma, Bruxelles? E se allargassimo l’Erasmus? E se partissimo da lì?
Questo articolo è frutto di una lunga intervista e chiacchierata con Dario D’Urso. Dario D’Urso è un analista di relazioni internazionali con un focus sulle dinamiche politiche dei Balcani occidentali. Ha lavorato per think tank, agenzie governative e organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa e l’ufficio del Rappresentante Speciale dell’UE in Bosnia-Erzegovina. Autore del Paper sul Montenegro per Feps Europe che potete scaricare qui
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