Il Processo di Roma, il piano Mattei, il ruolo dell’Italia in Africa. Un quadro generale per provare a capirci qualche cosa.
Il Sahel, l’Africa, L’Italia, l’Europa, il contesto geopolitico odierno, mettere insieme tutto questo è un mestiere difficile e abbiamo provato a farlo con Francesca Caruso che per FEPS Europe ha scritto due policy Brief che potete leggere QUI
L’articolo è la summa delle questioni che abbiamo chiesto a Francesca, una conversazione fluida che abbraccia vari punti. Abbiamo voluto partire dall’Italia per poi allargare il fuoco sull’Europa e su altri paesi che hanno fortissimi interessi in Africa e nel Sahel.
L’Italia e il Piano Mattei
Partiamo dall’Italia. Del Piano Mattei per ora c’è ben poco.
Che ci sia la volontà di lavorare sull’Africa è vero, ma in che cosa consisterà il piano Mattei è difficile da dirlo. Per il momento sappiamo solo che il governo continua a parlare de “la straordinaria necessità e urgenza di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del Continente africano, al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”; di voler rafforzare iniziative pubbliche e private; di promuovere iniziative che contribuiscano a uno sviluppo economico e sociale in grado di favorire stabilità e sicurezza nel Continente. Ma in che modo tutto questo sarà fatto e soprattutto dove è ancora un mistero.
Il governo Meloni ha sicuramente mantenuto l’attenzione sull’Africa, compiendo viaggi istituzionali (Etiopia, Kenya, Congo) e organizzando incontri qui a Roma. Tuttavia, sembra ancora agire in ordine sparso rispetto all’UE. La prima cosa da capire è che se l’Italia vorrà avere un ruolo nel Continente dovrà farlo in chiave Europea. In questo ambito l’Italia può fare, come ha fatto durante la crisi in Tigray ma anche durante il colpo di Stato in Niger.
La stabilità in quell’area è di primaria importanza per i traffici commerciali europei ed è quindi di grande interesse cercare di mantenerla questa stabilità, al contrario potrebbe essere complicato.
Tuttavia, la Meloni – come d’altronde l’Europa – se vogliono stabilire delle relazioni a lungo termine con i paesi dell’Africa devono capire il contesto in cui agiscono. L’Italia, come d’altronde la Germania e la Francia, hanno voluto riallacciare i rapporti con il governo etiope all’indomani della fine della guerra in Tigray. Tuttavia, le tensioni interne al paese sono molteplici ancora attive e il processo di pace per la guerra del Tigray del novembre 2022 non ha risolto i conflitti di lunga data esistenti. Se quindi si vogliono continuare o favorire rapporti di lunga data con i paesi africani, non ci si possono mettere le bende davanti agli occhi e non occuparsi delle dinamiche interne. Altrimenti qualsiasi azione i) sembra l’esito di interessi propri e non anche della volontà di favorire sviluppo sociale e economico etc; ii) ha le gambe corte.
Italia-Africa, la stessa rotta di Renzi.
Se da una parte il governo Meloni pone molta enfasi sull’Africa, dall’altra le azioni concrete che ha fatto continuando sulla scia dei governi precedenti. Quale scia? L’attenzione dell’Italia verso l’Africa non è nata con la Meloni ma era ritornata durante il Governo Renzi nel 2014, dopo anni di sostanziale disinteresse, e governo dopo governo nel dicembre del 2020 è stato pubblicato il documento di “Partenariato con l’Africa”.
Questo documento si concentra su due punti
- “la diplomazia della crescita” e quindi la necessità economica di allacciare nuove relazioni
- e la questione migratoria, dunque il Sahel come “confine esterno dell’Europa”.
Il partenariato spiega perché l’Italia abbia aperto nuove sedi diplomatiche (Somalia Niger, Burkina Faso, Chad, Guinea e Mali) aumentato le visite ufficiali, la cooperazione e lo scambio nei paesi subsahariani. Poi il governo Draghi ha articolato la politica estera italiana sull’Africa in chiave energetica, in seguito allo scoppio della guerra in Ucrai, sul fronte energetico, ovviamente a causa della crisi Ucraina, ma in generale i canali erano già stati (ri)aperti in vari modi.
Le missioni militari: Niger e Mali
Tra i vari modi non è possibile non parlare delle varie missioni militari avvenute o per le Nazioni Unite o per L’Europa e qui si apre un altro filo ovvero quello le missioni bilaterali e si comincia a parlare di Niger e Mali.
Nel 2017 L’Italia decise di aumentare la presenza militare in Niger, una missione del nostro esercito a supporto addestrativo e di controllo e monitoraggio delle frontiere in uno scenario che dal 2012 ha cominciato a vedere un intensificarsi di azioni terroristiche e un aumento dei flussi migratori e questa informazione per ora tenetela qui. Questa direzione è continuata fino all’anno scorso: l’Italia, come l’Europa, puntava molto sul Niger – e in particolare sul governo del presidente deposto Bazoum, come ultimo alleato filo occidentale della regione. Mali, Burkina Faso, Centrafrica, Guinea, hanno tutti preso una piega anti-occidentale o comunque hanno rivendicato la loro volontà di autonomia e di diversificazione degli alleati esterni – cosa che non è piaciuta molto alla Francia, da storicamente colonia e presente sul territorio sia a livello militare, economico, culturale e monetario. Ciò però ha creato fortissimi frustrazioni e rancori nei confronti d Parigi che oggi ha molte difficoltà in quello che un temo veniva chiamato “il pre-carré”
Il Mali e la Wagner
Ne 2021 il Mali decide di aprire una collaborazione con il gruppo Wagner, a dire il vero Mali e Russia si parlavano già da tempo (ci torneremo): la combinazione tra questa decisione, il colpo di stato del 2020, l’espulsione dell’ambasciatore francese e del contingente danese spingono Parigi a ritirare le truppe dal Mali per spostarle dove? In Niger. Perché? Perché il presidente Bazoum ha sempre avuto un atteggiamento filofrancesce.
Ma se la realtà è sempre più complicata di come appare, essa diventa un campo minato se si tratta di Africa. Il muso duro francese verso le decisioni del Mali non è stato una buona mossa e non è (più) possibile strutturare o continuare le collaborazioni e gli accordi a seconda di come uno Stato si posiziona nei confronti della Russia. Iin più per gli stati africani non è detto che avere uno governo filofrancese garantisca una certa stabilità interna, anzi: il caso del Niger lo ha dimostrato. Ma anche altri paesi, come per esempio il Senegal, negli ultimi anni hanno dovuto prendere delle posizioni meno filo-francesi o occidentali per sedare le frustrazioni della popolazione verso l’ex colonia. Ricordiamoci che all’ONU durante il voto di condanna contro l’invasione russa dell’Ucraina il Senegal si è astenuto…
E veniamo al Niger
E veniamo al Niger al colpo di Stato di quest’estate.
L’ atteggiamento out-out dei francesi rispetto al golpe non ha portato a grandi risultati, alla fine hanno ceduto progressivamente alle richieste dell’attuale regime militare in carica a Niamey e Macron si è visto costretto a ritirare i contingenti presenti sul territorio, ma in tutta questa situazione l’Italia come ha agito? Usando la carta diplomatica, un modus operandi che ha permesso al nostro ambasciatore di rimanere nella capitale nigerina, ma anche a un numero ridotto di nostri militari. L’Italia ha optato per una posizione più cauta rispetto all’intervento militare – anche per paura delle ripercussioni che tale intervento potesse avere sulla stabilità della Nigeria.
I canali aperti sono oro.
Gli equilibri con gli stati africani sono molto delicati. Tenere canali aperti e dialoganti è l’unico modo per costruire cooperazione, collaborazione, supporto, aiuto, le frizioni e gli scontri a muso duro che si sono visti tra Francia, Mali e Niger non portano quasi mai a delle soluzioni interessanti, anzi
L’atteggiamento di sfida nei confronti della Francia -e viceversa- non significa che categoricamente questi Stati vogliano, per esempio, allacciare rapporti SOLO con la Russia.
Da parte europea (e francese) c’è da riconoscere il diritto di queste regioni di poter diversificare le alleanze e al contempo, per quanto questo fatto possa essere indigesto, è una via che permette di non chiudere i rapporti: perciò considerando le decisioni prese dal nostro Paese e la volontà dimostrata di assecondare diplomaticamente, si potrebbe aprire una buona possibilità di essere un attore chiave nel dialogo nel prossimo futuro: come?
In questo momento l’Italia dovrebbe agire su un unico fronte nel sahel: evitare la spaccatura dell’ECOWAS cercando di spingere ad un alleggerimento delle pesantissime sanzioni economiche che l’organizzazione regionale ha imposto al Niger dopo il colpo di Stato. Anche questa volta, come spesso accade, è la popolazione a pagarne le conseguenze e non i golpisti.
Il Paradosso dell’Europa.
L’Europa dice di voler implementare una migliore strategia per il Sahel, vedi l’ultimo documento di strategia integrata del 2021 che va a porre un accento particolare sulla good governance e la stabilità della regione.
Due passi nella Storia.
Il Sahel oggi è una polveriera. Nonostante le missioni militari, in tutto il Sahel, 22.074 persone sono state uccise in 6.408 attacchi terroristici tra il 2007 e il 2022″, si legge nel rapporto.
La regione è stata l’area più colpita del mondo, rappresentando il 43% dei morti per terrorismo a livello globale, un’impennata impressionante rispetto all’1% del 2007.”
Alla luce di questi dati le missioni di appoggio militare e umanitari non sono mancate, perciò nel corso degli anni l’UE ha collaborato con l’area del Sahel, ma questo non ha impedito né il perpetrarsi delle attività terroristiche né il deterioramento e la destabilizzazione politica tra colpi di Stato e cambi di potere vari:
La Strategia 2021 si fondava sulla volontà di sostenere e promuovere la democrazia attraverso una cooperazione paritaria con i governi locali, promuovere il Multilateralismo e il monitoraggio degli obiettivi prefissati. La stabilità nella regione era sicuramente L’Obiettivo e i rapporti multilaterali si riferiscono anche (ma non esclusivamente) ai paesi che fanno parte dell’ECOWAS ovvero la comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale.
Il punto è che nella teoria la UE dice di voler cooperare, ma nella pratica e lo abbiamo visto in Mali e in Niger, non è stata in grado di farlo. la sospensione di cooperazioni militari – vedi per esempio l’EUTM in Mali e in Niger – e degli aiuti allo sviluppo.
Le 5 Comari anche in Africa: Russia, Cina, Iran, Arabia Saudita, Turchia
Si sente sempre parlare di influenze “esterne” in Africa o, meglio, influenze esterne rispetto il blocco Atlantico tradizionale: Europa e US. Il punto è che alcune di queste “influenze” si basano su rapporti storici, ci piaccia o meno.
Come raccontato per i Balcani, sono le zone grigie che l’Europa si lascia dietro ad essere porte aperte.
La Russia. La sua presenza in Africa è storica soprattutto in Sud Africa (con l’ANC di Nelson Mandela ad esempio), in Algeria, il Libia con Gheddafi, in Egitto attraverso la diga di Assuan, in Algeria e altri paesi, sempre al fianco dei moti anti-coloniali là dove ci fossero stati e con ogni mezzo, un modus operandi che nel corso del tempo ha portato Mosca ad avere 43 ambasciate nel continente africano e relazioni economiche cruciali: dalla vendita di armi all’acquisto di materie prime e preziosi.
Ma veniamo al XXI secolo. Dal 2014-2015 in poi Putin ha cambiato strategia in Africa e lo si è visto nel 2015 con la firma di accordi di cooperazione militare con 21 Paesi africani nei quali erano previste forniture di armi, l’addestramento di ufficiali in Russia e la presenza sul terreno di “consiglieri militari” moscoviti aka la Wagner. Mosca/Putin ha strategicamente riacciuffato i rapporti con l’Africa e le regioni subsahariane offrendo aiuto militare -l’unica moneta di scambio concorrenziale rispetto alla Cina- in cambio di? Concessioni minerarie, per esempio, appoggio politico e soft power. I risultati? Li abbiamo visti nella risoluzione dell’Onu del 2022.
La prospettiva Russa è ampia, ricordiamo il Summit di Soci nel 2019 e San Pietroburgo nel 2022, e tale prospettiva ha come scopo quello di “bilanciare” e ridimensionare il peso dell’Occidente (e della Cina) in Africa. Nel caso della Repubblica Centrafricanaquesta strategia ha funzionato, le relazioni tra la Francia e il governo si sono deteriorate a discapito di quelle con Mosca che invece è un partner privilegiato del paese. Tuttavia, sarò interessante vedere quanto questa relazione continuerà – anche a fronte della volontà americana di riavere un ruolo nel Continente.
La Cina
In Africa da molti anni, il suo intervento infrastrutturale è stato ed è importante e lo fa principalmente nell’Africa subsahariana. Gli interessi sono economici, le storture di questi rapporti innumerevoli e meriterebbe un capitolo a parte; tuttavia, piaccia o meno (a noi europei) i cinesi hanno sopperito alla mancanza di infrastrutture e contribuito a costruire e/o ricostruire là dove ce n’era bisogno e così facendo preparano il terreno per una partnership di lunga data che gioverà certamente alle casse di Pechino. Ad oggi gli scambi sino-africani cubano 251 miliardi di dollari, La Nigeria è il principale importatore africano dalla Cina, mentre il Sudafrica è il principale esportatore. Altri importanti esportatori sono l’Angola e la Repubblica Democratica del Congo. Tutti e tre sono grandi produttori di metalli o petrolio.
L’Iran
A mano a mano che le zone grigie del “west” aumentano, le occasioni per i loro opponenti diventano più golose e il caso nell’Iran non fa eccezioni. I paesi co i quali l’Iran ha approfondito le relazioni ultimamente sono Burkina Faso e Mali, ma l’Iran lavora con molti stati Africa sin dagli anni ’80 e negli ultimi tempi si è impegnato un po’ di più e l’autore di questa strategia di espansione è stato Ahmadinejad. Le relazioni sono triplici: militari, economiche, culturali/religiose, d’altra parte l’Iran essendo stato non grato all’occidente, con tutte le conseguenze del caso, può fare affari e avere relazioni con gli altri punti cardinale del Globo: Sud in primis, L’Africa e il Sahel in particolare
L’Arabia Saudita antagonista dell’Iran in Africa o, meglio, i Sauditi sunniti non gradiscono proprio che gli sciiti iraniani mettano le mani in pasta nel continente e le ragioni che muovono i sauditi in Africa sono le medesime degli iraniani: appoggio militare, scambi commerciali e presenza culturale. Dall’appoggio finanziario per le operazioni militari agli investimenti miliardari per le infrastrutture e/o i centri culturali Riyad ha tutti i vantaggi per costruire solide e durature relazioni con i paesi africani, la posizione geografica stessa da degli indizi lampanti di come l Corno D’Africa sia una golosa preda.
La Turchia
I rapporti tra la Turchia e le regioni del Sahel sono relativamente recenti, hanno avuto un’evoluzione significativa negli ultimi dieci anni con un focus particolare su investimenti economici, cooperazione militare e sostegno allo sviluppo. La Turchia è uno dei principali investitori stranieri nel Sahel. Nel 2022, gli investimenti turchi nella regione hanno raggiunto i 10 miliardi di dollari, principalmente in infrastrutture, energia e agricoltura. Poi c’è tutta la parte militare: Ankara oltre a fornire armi e addestramento militare nell’ottica antiterroristica ha anche aperto una base militare in Niger. Infine, non può mancare la parte “culturale/religiosa”.
Chiaramente gli interessi di queste Comari preoccupa l’Europa la quale, in Africa, ha sempre avuto un primato innegabilmente frutto del suo passato coloniale, ma non solo. Ora però gli scenari sono cambiati e forse sono ancora più complessi.
E adesso?
Negli ultimi anni la presa della UE in Africa e soprattutto nel Sahel è via, via diminuita: certo le condizioni instabili di quell’area non aiutano affatto, ma esiste anche un innegabile errore di considerazione politica da parte europea, un errore dovuto ad un paternalismo che ha radici antiche.
Le cose che l’UE può fare sono molte, ma potrebbe iniziare da queste:
A livello di Unione Europea è essenziale sia per l’Unione sia per i singoli stati dare priorità allo sviluppo di nuove funzionalità di intelligence su questioni internazionali. In attesa che questo accada è bene che i singoli stati continuino a investire nel miglioramento delle proprie agenzie di intelligence facendo sì che essere possano coordinarsi e collaborare sempre di più nello scambio di informazioni. La crisi nel Sahel ha reso evidente come le informazioni possano fare la differenza in certi contesti e purtroppo senza una agenzia europea dedicata allo scopo è difficile per la UE riuscire ad agire in modo imparziale e oggettivo e questo è particolarmente vero se si analizzano quelle aree nelle quali a causa dei conflitti in corso diventa umanamente difficile non mischiare il giudizio con le emozioni
Migliorare il coordinamento tra gli Stati membri e le decisioni del Consiglio UE: nonostante il Sahel sia considerato un’”area di interesse strategico” per l’Unione europea, abbiamo visto come negli ultimi anni la politica estera e di sicurezza dell’UE nei confronti della regione sia stata guidata soprattutto dalla Francia. In più questo è accaduto proprio quando Parigi – come ex potenza coloniale – si è trovata ad affrontare le crescenti tensioni e frustrazioni provocati proprio dalla sua presenza in quei territori sia a livello di governi locali (vedi Mali, Burkina Faso e ora Niger) sia a livello di popolazione e società civile residente.
Contribuire al rafforzamento delle organizzazioni regionali: gli ultimi colpi di stato militari hanno dimostrato l’incapacità della ECOWAS di scoraggiare potenziali scontri – nonostante il suo impegno a sostenere le buone pratiche di governance, lo stato di diritto e lo sviluppo sostenibile per la pace e la prevenzione dei conflitti.
La reazione ai colpi di stato militari degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha evidenziato due comportamenti che hanno contribuito a minare la sua legittimità nei confronti dei governi locali e della popolazione: l’incoerenza e la predisposizione alle influenze sia dagli Stati membri che da attori esterni.
Per esempio, L’ECOWAS ha imposto pesanti sanzioni diplomatiche, politiche ed economiche a Mali e Niger, ma non ha reagito allo stesso modo con il Burkina Faso, che è stato solo sospeso dall’organizzazione. Questa reazione incoerente ha creato frustrazioni all’interno di ECOWAS culminando, da dopo il colpo di stato in Niger, in una potenziale frammentaione. Nel settembre 2023, i tre paesi hanno firmato l’accordo Liptako Gourma che stabilisce un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca. Questa carta segna l’emergere di un’alleanza di difesa collettiva da parte di tre paesi che, percependo il meccanismo di sicurezza di ECOWAS come una minaccia strategica, possono contribuire alla divisione dell’organizzazione regionale.
Agire in modo coerente e senza doppi standard: analogamente a ECOWAS, la reazione dell’UE ai colpi di stato militari e ai cambiamenti incostituzionali nella regione cambiava a seconda del paese.
Siamo e viviamo in un mondo interpolare dove usare una chiave di lettura unica, univoca e granitica NON aiuta soprattutto se si vuole perseguire la pace, la stabilità, il progresso e la democrazia. Il Sahel in definitiva è un banco di prova importante con molto conseguenze per la UE, ce la farà?
About Francesca Caruso
Francesca Caruso è ricercatrice nel Programma Mediterraneo, Medio Oriente e Africa presso l’Istituto Affari Internazionali, dove è specializzata nelle relazioni UE-Africa con particolare attenzione al Corno D’Africa e alla regione del Sahel. Francesca lavora anche come consulente per l’Ufficio Relazioni Internazionali della Comunità di Sant’Egidio, concentrandosi sull’Africa Centrale.
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