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Una conversazione con Serena Giusti e Lia Quartapelle.

Ann Linde è la ex ministra degli esteri svedese. Tra il 2014 e il 2022 la politica estera svedese ha sistematicamente analizzato le questioni del mondo considerando le tre R: Rights, Representation e Resouces ovvero i pilastri sui quali l’approccio femminista alla politica estera si basa. Linde sostiene che tale visione non debba essere una prospettiva, ma appunto, un approccio.

Feps Europe ha pubblicato uno speciale sulla politica estera femminista che potete leggere qui.

progressive post Feps copertina

A partire da questo Progressive Post abbiamo voluto approfondire ulteriormente con Serena Giusti (Docente di Relazioni Internazionali presso la Sant’Anna School of Advanced Studies e Senior Associate Research Fellow presso l’Istituto di Studi Internazionali (ISPI) di Milano) e Lia Quartapelle (deputata alla Camera, vicepresidente Commissione Affari Esteri e Comunitari)  

Ne è venuta fuori una chiacchierata dalla quale evidenziamo alcune considerazioni cardine:

  • L’approccio alla politica estera femminista non significa che si debba occupare SOLO di questioni femminili, o operare in ambiti che sono riconducibili alle soft skills femminili, altrimenti si rischia la stereotipizzazione, mentre è la visione complessiva ciò che serve.
  • La politica estera femminista non può prescindere dal coinvolgimento degli uomini.
  • La buona politica estera (femminista o meno) riflette le decisioni e gli approcci della buona politica interna di un paese.

Perché è importante sottolineare questi punti? Perché sono importanti per delineare lo scenario, nel nostro caso europeo e italiano.

La politica estera e la questione di genere hanno da sempre un rapporto complicato.

Nel corso del tempo gli “esteri” sono stati appannaggio di una élite maschile (bianca e ricca ndr), e la rappresentanza femminile fisiologicamente debole, perciò, le decisioni prese definivano UNA sola visione di mondo.

Questo sta cambiando, in alcuni paesi più velocemente che in altri -sempre grazie o a causa degli andamenti politici interni- e il cambiamento deve andare nella direzione nella quale le donne posso essere nei luoghi e nelle situazioni nelle quali si prendono le decisioni A MONTE.

Anche l’Onu ha riconosciuto alle donne un ruolo cruciale nei processi di pace, posizioni interessanti e importanti, ma comunque a posteriori e di mediazione: Serena è stata ferma su questo punto, una politica estera femminista è quella che viene forgiata dalle donne in prima istanza e non solo nella retroguardia, inoltre tali decisioni non possono cristallizzarsi nei confini classici delle istanze femminili classiche, ma al contrario ampliarsi portando quindi il vantaggio di una visione più ampia.

serena giusti e lia quartapelle
Lia Quartapelle e Serena Giusti

La Libertà è un proxy.

Lia sottolinea come la libertà delle donne -e dunque la loro partecipazione- sia un proxy per testare la libertà o meno di un paese.

In questo momento anche alcuni stati del Primo Mondo riducono sistematicamente le libertà delle donne ad uno scopo preciso: tranquillizzano gli animi più conservatori e li mettono al sicuro e questo modus operandi è distintivo a livello globale: in Polonia, tra i Repubblicani americani, in Iran, Afghanistan, così come Boko Haram.

Dunque, le battaglie non sono solo per le donne, ma per la libertà e democrazia di un Paese intero.

Riconoscere questa realtà e definirla è cruciale nei rapporti internazionali, un approccio femminista è più incline a prendere decisioni in questo senso (la R di Right del framework); in Italia, ricorda Lia, il Governo ha taciuto per settimane sulla questione Iraniana ed oggi i Governi e le realtà istituzionali guidate dalle donne captano una maggiore attenzione anche e soprattutto sul tipo di “lente” che utilizzano nelle loro politiche estere e il tipo di risposte che danno.

Cosa succede nell’Unione Europea.

A tal proposito citiamo nella discussione Von Der Leyen e Metsola.  

Dice Serena: “Ad entrambe, quando analizziamo le decisioni prese nei confronti della guerra in Ucraina, va riconosciuto da una parte un polso fermo e definito e dall’altra un grado di empatia che, sapientemente usato, ha messo in luce la volontà del paese di entrare nella Eu quanto prima. Tutte e due non hanno avuto paura di abbracciare”

Inoltre “La Eu sta facendo dei grandissimi sforzi nell’usare politiche di questo tipo. Va riconosciuto” sottolinea Quartapelle.

Metsola e Von Der Leyen sono anche un esempio per la rappresentanza femminile nei posti nei quali si prendono le decisioni e vederle in quei ruoli può essere un incentivo alla e per la rappresentanza, anche se NON tutte le donne nella stanza dei bottoni fanno legittimamente bene, un esempio che cita Lia è Liz Truss.

FFP, una politica solo progressita?

Le due presidenti non sono della famiglia progressista, è risaputo e ci si chiede dunque se la politica estera femminista può essere cryptonite o meno per le destre e anche in questo caso la risposta è da cercare nell’approccio “nazionale”.

Là dove le questioni di genere sono più avanzate la sostanza dell’approccio non viene stravolto, al massimo si toglie la parola “femminista” che tradizionalmente è una parola di sinistra, spiega Serena e su questo punto Lia ricorda  l’esempio della Germania e di Analena Bearbok -ministra degli esteri- che si sta impegnando per applicare il framework delle 3 R nella sua politica; Bearbok non fa parte della famiglia dei progressisti, ma dei Verdi, perciò chiamiamola o meno femminista, purché si faccia! Possiamo dunque dire che sono le persone che fanno la differenza.

Seguendo il filotto europeo non si è potuto non citare il Pnrr e chiederci se un approccio femminista avrebbe/potrebbe modificare l’outcome delle decisioni prese.

Lia non ha dubbi sul fatto che usare e coinvolgere interessi e prospettive diverse potrebbe (avrebbe potuto) rendere il piano più efficace nella sua complessità e nel perseguimento dei suoi scopi perché?

Perché la “diversità” che tanto fa bene ai processi decisionali aziendali, come ricorda Serena, è un volano per prendere decisioni migliori.

In Italia si guarda poco alla prospettiva femminile e questo non consente di prendere le decisioni migliori, come sta accadendo al taglio degli asili nido previsti dal Piano di Resilienza nazionale: una decisione presa nell’ottica dell’efficientamento del piano che però non efficienta affatto, al contrario taglia una gamba al Piano stesso e non permetterà lo sviluppo desiderato di liberare le famiglie dalle necessità di cura dei più piccoli che sono notoriamente sulle spalle femminili.

In conclusione

Applicare l’approccio di una politica estera femminista è complesso se non ci si impegna anche a livello nazionale e nelle decisioni piccole o grandi che siano, indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una donna seduta sugli scranni più elevati.

Vero è ed è innegabile che i diritti delle donne sono diritti umani e le loro battaglie son le battaglie per tutta la società, tenere come faro la dignità, la libertà e le possibilità di vita delle donne significa farlo per tutte le persone.

E buona Politica Estera Femminista a Voi.

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