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Intervista a Eli, 27 anni, iraniana. Di Francesco Codagnone.

«Non ho mai immaginato che si potesse essere così coraggiose, non ho mai immaginato che si potesse essere arrabbiate. Non ho mai immaginato che fosse possibile, per una donna, in Iran, togliersi il velo e arrabbiarsi».

Eli ha 27 anni, è iraniana, ma vive in Italia da due anni. Gli occhi stanchi, tristi, eppure attenti, guardano lontano. I capelli scuri, legati in una piccola treccia che ricade sul chiodo di pelle. 

«Spiegare cosa è successo è difficile. Riguarda la nostra storia, è un percorso che attraversa intere generazioni. È un accumularsi di decenni di dolore e frustrazione, a causa del modo disumano in cui le donne in Iran vengono trattate ogni giorno. Per alcune è così da sempre, non ricordano altro. Oggi, però, c’è una donna di 22 anni di nome Mahsa Amini a cui è stata tolta la vita. Indipendentemente dalle sfumature ideologiche e culturali, indipendentemente dalla nostra storia, una donna è stata uccisa, e invece dovrebbe essere viva. Potremmo iniziare da qui».

Dall’inizio della rivoluzione, 44 anni fa, l’Iran ha attraversato tanti sconvolgimenti. Negli anni ci sono state tante manifestazioni. Questa non è la prima volta che il governo iraniano uccide persone per strada. Eppure, le proteste in corso sono un qualcosa di inedito. C’è un coraggio, una rabbia, che l’Iran non aveva mai conosciuto. Non così.

«Questa volta è diversa. Questa rabbia non potrà essere cancellata.»

Questa volta le persone non stanno protestando per motivi economici. Non sono lì per il prezzo del gas che sale. Non sono lì per le elezioni. Sono lì perché una giovane donna è morta, uccisa. Ventenni, ragazze e ragazzi, ma anche casalinghe e pensionati, musulmani conservatori. Iraniani da tutte le classi sociali. Uomini al fianco delle donne, forse per la prima volta, perché questo è più grande di qualsiasi differenza tra uomini e donne. Nelle grandi città come nei villaggi. Protestano contro l’obbligo di indossare l’hijab, il velo per le donne. La loro battaglia non è contro l’Islam, ma contro la Repubblica islamica e i suoi decenni di repressione della libertà e dei diritti umani. La loro battaglia nasce perché Mahsa Amini dovrebbe essere viva.

«È una battaglia esistenziale, e il governo difficilmente cederà, perché il rischio è il crollo di tutto il sistema».

foto di Eli, di spalle

Non cederanno neanche le ragazze che stanno incendiando l’Iran agitando i loro capelli nell’aria. Non cederanno le donne che vedono le loro figlie e sorelle ammazzate per strada. Non cederanno le nuove generazioni, i ventenni che non accettano nessun leader, che non credono nel dialogo con il potere e che non teme di rispondere alla violenza con la violenza. Non cederanno le studentesse e gli studenti, che hanno sviluppato un pensiero libero, critico, che non accettano menzogne, che non si lasceranno manipolare.

«Questa lotta non è nuova. Le donne iraniane hanno combattuto per tutta la vita, dalle nostre nonne alle nostre madri.  Ma la società si è evoluta. Il loro tempo è scaduto».

La nuova generazione, la generazione Z, a differenza dei loro genitori e nonni, ha ottenuto un migliore accesso alle informazioni e al mondo esterno, nuove piattaforme per dare voce alle loro preoccupazioni e il coraggio di esprimere le loro opinioni. Le giovani iraniane e i giovani iraniani si identificano come qualcosa di più di semplici oppositori dell’ideologia: sono estranei alla mentalità delle generazioni precedenti. La loro una rabbia sociale, non solo politica. Non si accontenteranno in fretta, e non è chiaro per quanto tempo ancora sarà possibile reprimerli.

«Vorrei essere lì. Mi sento in colpa perché sono qui, perché sono al sicuro. Perché la mia gente, le mie sorelle stanno morendo per strada. Vengono uccise brutalmente senza che abbiano armi nelle loro mani: sono donne comuni ma coraggiose, stanno sacrificando la loro vita anche per me, per il mio futuro e la mia libertà. Io sono qui, non riesco a dormire, non mi do pace: cerco di informarmi, parlarne, diffondere le notizie, ma vorrei essere lì. Vorrei essere per strada con i capelli al vento, rischiare la mia vita per loro, insieme a loro. Non ho mai immaginato che si potesse essere coraggiose, non ho mai immaginato che si potesse essere arrabbiate. Non ho mai immaginato che fosse possibile, per una donna, in Iran, togliersi il velo e arrabbiarsi. Il mondo brucia e sono le donne a dargli fuoco. Oggi noi siamo arrabbiate».

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