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L’identità femminile come simbolo politico e oggetto di una condizione patriarcale.

Il corpo della donna è il luogo della guerra, ancora oggi. Sia in paesi, nazioni e territori in cui esiste un conflitto armato, sia in paesi, nazioni e territori in pace, in altre forme, ma così è. Il corpo della donna e l’identità femminile sono un simbolo politico. L’oggetto di una condizione patriarcale. Umiliarlo, distruggerlo, danneggiarlo, schiavizzarlo, violentarlo, sopprimerlo, renderlo “contenitore” o trofeo fa parte della storia… dell’uomo. Il corpo della donna è il luogo della guerra.

Lo è stato a Nanchino, lo è stato in Italia, in Germania, nella Seconda guerra mondiale, lo è stato in Vietnam, in Bangladesh, in Kuwait, Iraq, Etiopia, Rwanda, Congo, Siria, in Bosnia. Lo stupro come arma di guerra, una sistematica scelta militare per sopprimere un popolo, svilirlo, umiliarlo, disonorarlo nel modo più atroce.

Lo stupro di massa.

donna in penombra

La definizione di “stupro di massa” è stata coniata proprio dietro i nostri confini, durante la guerra nei Balcani negli anni 90 del secolo scorso. La violenza perpetrata contro le donne bosniache aveva una triplice azione: stupro, tortura, gravidanza forzata. Lo scopo ultimo era il genocidio. L’Onu ha stimato che durante quel conflitto fossero stati istituiti 162 campi di stupro, il numero delle vittime “ufficiali” sarebbero 11mila, ma si stima che possa essere il triplo, tra queste si registrano oltre 2000 gravidanze forzate, l’evidenza più agghiacciante dell’ultranazionalismo che ha mosso il conflitto, un pensiero di “sostituzione” genetica che non teneva conto minimamente del DNA della madre. Il corpo della donna era il luogo della guerra e lo è ancora, quelle aberrazioni bosniache, figlie di visioni ultranazionaliste o ultrareligiose mostruose di una società patriarcale in guerra, priva di morale, ma piena di visioni allucinatorie ed estreme costruite a tavolino, comunicate sapientemente, esistono ancora.

La donna, le ragazze, le bambine vivono e partecipano alla guerra in modo attivo, ma non con le armi, sono loro le prede da annientare. Nelle guerre di oggi il coinvolgimento dei “civili” è sempre più alto, la profanazione del corpo della donna è sistematica, non è una conseguenza, la guerra si combatte con la violenza di genere e la violenza di genere e lo stupro sono un’arma.

donna in penombra

Sono state registrate fra le 250.000 e le 500.000 vittime di stupro durante il conflitto in Ruanda, più di 200.000 le donne e bambine vittime di stupro durante il conflitto congolese, 6500 sono le donne e i bambini yazidi catturati dall’esercito del Daesh, rese schiave sessuali e vendute; Amnesty ha registrato tra febbraio e aprile del 2021, 1288 casi di violenza di genere perpetrate contro le donne del Tigray (Etiopia) numeri che sono probabilmente lontani dalla realtà: “I resoconti forniti dalle sopravvissute sono agghiaccianti: stupri di gruppo all’interno di basi militari protrattisi per giorni se non per settimane; inserimenti nella vagina di chiodi, ghiaia, oggetti metallici e di plastica che hanno causato danni in alcuni casi irreversibili.”

Il dibattito internazionale

Il dibattito internazionale sul corpo della donna e la guerra esiste, ma forse non è abbastanza forte. La guerra sembra si combatta solo tra uomini, carri armati e fucili. No, le guerre del XXI secolo si combattono in altri modi, si chiamano guerre a bassa intensità, ma le persone muoiono, non solo i soldati. Lo stupro è un’arma. Il nostro pensiero sulla guerra deve comprendere anche questo aspetto e ci chiediamo, lo sarà anche in Ucraina? Lo è già stato ed è già così. È del 2017 un articolo dell’Internazionale  e di poco tempo fa il richiamo all’attenzione di Amnesty sulla violazione dei diritti umani.

Se a un problema non dai un nome, il problema non esiste.

Grazie al genocidio Bosniaco abbiamo un concetto di riferimento che si chiama “stupro di massa” e per la giurisprudenza, da quel momento, comincia un percorso di inquadramento della fattispecie, con relativi studi e pene: per la giurisprudenza e la legge internazionale. Lo stupro come arma è ovviamente sempre esistito, a Norimberga si erano riconosciuti stupri di massa perpetrati dalle truppe dei vari schieramenti, ma non accadde nulla. Nel testo della quarta Convenzione di Ginevra del 1949, riguardante la protezione delle persone civili in tempo di guerra, venivano esplicitamente menzionati all’articolo 27, quali fattispecie criminali punibili, lo stupro e la prostituzione forzata, ma queste erano considerate condotte criminali in quanto azioni tese a ledere il pudore della donna. Ben diversa è l’interpretazione che fu data allo stupro nello statuto del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, in cui esso venne riconosciuto all’articolo 5(g) quale crimine contro l’umanità, alla stregua di fattispecie criminali come assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione, incarcerazione, tortura e persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi. Con la Risoluzione 1820 approvata nel 2008 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la violenza sessuale viene definita come “una tattica di guerra per umiliare, dominare, instillare paura, disperdere o dislocare a forza membri civili di una comunità o di un gruppo etnico”, ma in pochi pagano per questo crimine contro l’umanità. La soluzione? È di lungo raggio, lunghissimo. E politico.

 “Women belong in all places where decisions are being made. It shouldn’t be that women are the exception”
Ruth Bader Ginsburg

Ma sappiamo che a questo punto di “riconoscibilità del problema” ci siamo arrivati grazie a “l’approccio femminista di fronte ai problemi di sicurezza è di tipo bottom‐up, cioè parte direttamente dalle esperienze delle persone per indagare quali sono le cause dell’insicurezza e quale il modo di farvi fronte. Per tutti questi motivi, numerosi studi sulle origini e sulle modalità per rispondere alla violenza di genere nelle situazioni di conflitto armato si rifanno alla scuola di pensiero femminista.” (Elisa Volpi Spagnolini – Centro Studi Difesa Civile)

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