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Un punto di vista firmato da un’italiana all’estero.

Può darsi che nei giorni scorsi vi sia capitato di vedere degli articoli rispetto alla quantità di giovani che espatriano. Spoiler, che spoiler non è, è tutto vero. Ma i dati e le % messe così non ci dicono granché.

Ogni anno la Fondazione Migrantes, organismo pastorale della conferenza episcopale italiana rilascia uno studio approfondito sulle migrazioni dei e delle connazionali, si chiama RIM: rapporto italiani nel mondo ed è una bella fotografia di un fenomeno che il Rim stesso definisce strutturale.

In tutto l’Italia nel mondo conta circa 6 milioni di persone, è un numero che risulta dalle iscrizioni AIRE, ovvero l’anagrafe degli italiani all’estero, nella realtà questa fetta d’Italia è molto più ampia, ma attenendoci ai dati verificabili sappiamo che il 10% della popolazione italiana non vive sul suolo patrio batte quantitativamente l’8,8% dei cittadini stranieri regolarmente residenti.

La comunità italiana all’estero non è un blocco granitico con storie simili e tragiche come può essere stato nel secolo scorso, quando si partiva con la valigia di cartone e si andava a lavorare nelle miniere. A proposito, la quantità di italiani morti di lavoro brutale in giro per il mondo è notevole, una tra tutte Marcinelle, l’8 Agosto del 56 quando morirono 136 minatori italiani sui 262 decessi tragicamente avvenuti. Dicevamo, la comunità italiana non è un blocco granitico, è variopinta e intergenerazionale e continua a cambiare.

Il 42% della comunità italiana nel mondo ha tra gli 0 e i 34 anni.

Molti tra loro son proprio nati all’estero, per cui il Paese cresce fuori dai confini e lo farà sempre di più. Chi parte tra le generazioni più giovani lo fa sicuramente e inequivocabilmente per quello che il RIM definisce il “triplice rifiuto “percepito rispetto ai propri progetti di vita: anagrafico, territoriale e di genere, ma soprattutto parte sapendo che non ha nulla da perdere!

Il concetto di mobilità oggi è più fluido e muoversi e rispostarsi in Europa è più semplice, si parte anche senza troppe aspettative e partono in egual misura ragazzi e ragazze.

Attenzione alla narrazione dei “cervelli in fuga”, se la incontrate, evitatela perché la quantità di chi parte per delle borse di ricerca o affini non rappresenta certo la maggioranza e, sottolineiamo, anche se hai una laurea non è detto che valga nel paese in cui ti trasferisci. Non crediate che vivere all’estero sia il giardino dell’Eden dove non appena si tocca al suolo arriva un comitato d’onore con proposte di lavoro esaltanti. No, non è così perché le barriere linguistiche e culturali, ma soprattutto la totale mancanza di network sociale, ovvero la solitudine, sono problematiche serie e concrete che però vengono sistematicamente annacquate dalla discussione pubblica: ci si mettono circa quattro anni a capire da che parte girarsi una volta che si arriva in un Paese straniero e questo capita alla maggioranza, perché la maggioranza non parte con un “relocation pack” di qualche azienda, al contrario.

Nonostante tutto si parte, dal Nord, dal Sud e dal centro senza esclusioni, si parte e non si torna perché i dati ci dicono che il 50,3% dei cittadini oggi iscritti all’AIRE lo è da oltre 15 anni e “solo” il 19,7% è iscritto da meno di 5 anni. Il resto si divide tra chi è all’estero da più di 5 anni ma meno di 10 (16,1%), e chi lo è da più di 10 anni ma meno di 15 (14,3%).

dati italiani all'estero

All’estero ci si innamora e come scritto più sopra si fan figli. Quanti? Il 167% in più rispetto al 2006 anno nel quale si contavano 869 mila nascite in terra straniera, oggi i reparti ostetricia del mondo han visto nascere   oltre 2milioni e 300 mila mini-connazionali, nuove generazioni italiane DOC con un background migratorio: 2milioni e 300 mila persone uguali in tutto e per tutto con i coetanei in patria con il medesimo background migratorio, ma con genitori non italiani.

Anche se lo si vuole negare a tutti i costi, RIM ci restituisce l’immagine di un’Italia sempre più multiculturale e anche transnazionale, è un fatto.

Si guarda sempre a chi parte, giustamente, ma la visione sul fenomeno della migrazione deve prendere in considerazione anche chi già sta all’estero e rimane, ottiene una doppia cittadinanza o riacquisisce quella italiana: Esistono diverse “Italie al di fuori dell’Italia”, come esistono, appunto, diversi tipi di cittadinanze italiane all’estero, o meglio nel mondo. Per questo una nuova legge sulla cittadinanza è doverosa e sacrosanta, una legge che abbia anche una visione transnazionale e che si spicci a trovare accordi bilaterali con in Paesi nei quali nascono, vivono e crescono nuove e nuovi italiani.

dati italiani all'estero

Avrete appreso da questo piccolo articolo che in giro per il mondo ci sono molti minorenni italici e probabilmente ce ne saranno sempre di più se l’età di chi espatria continuerà (e lo farà) ad essere Millennial e GenZ. La mobilità è e sarà sempre più fluida, soprattutto in Europa, dove spostarsi da un Paese all’altro è possibile e non porta con sé molte complicazioni, perché si segue il lavoro, la formazione, l’amore, in sostanza un progetto di vita coerente con le proprie aspettative. Soprattutto la mobilità non si ferma nemmeno quando c’è in corso una pandemia, rallenta, ma non si ferma.

dati italiani all'estero

Tutto questo implica una semplice conclusione, se vogliamo conoscere meglio la “strutturale” mobilità italiana che non si ferma, dobbiamo spostare il dito dalla retorica della “fuga” a quella del migliorare le “opportunità di vita”, punto, e chiederci se è davvero un problema o no? Lo è? Sì, ma non perché si parte, è un problema perché non si torna ed è un problema perché conosciamo solo 6 milioni di persone di un’Italia all’estero che probabilmente è più ampia e questo perché l’impianto burocratico, di assistenza e rappresentanza è vecchio di decenni, tarato su numeri più che dimezzati, senza risorse e chi vive all’estero la diseguaglianza con expat di altre nazioni la vede, sente, tocca, la vive.

Le migrazioni saranno probabilmente destinate a crescere, è normale che lo sia in un mondo aperto, ma ciò che NON è normale è persistere nel non vedere un’opportunità nelle migrazioni per costruire un Paese più flessibile pronto alla Circolarità delle migrazioni: vado, torno, riparto e rientro.

“Uno dei rischi da evitare, però, è la condanna della migrazione che avviene quando la si considera solamente come svilimento e perdita e non nelle sue qualità positive di opportunità di incontro e di arricchimento reciproco con modelli culturali diversi. Una mobilità circolare, come è quella in cui sono inseriti i recenti flussi degli europei, e quindi anche degli italiani, è un movimento diverso maturato a seguito dei processi di globalizzazione del lavoro, delle economie, delle società.”

Questo pezzo è firmato da un’italiana all’estero.

Leggi il Rapporto QUI

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