Il concetto “le persone a centro” vale per ogni essere umano, qualsiasi scelta faccia – in modo libero e consapevole – del proprio corpo.
E partiamo da qua. La prostituzione consapevole e consenziente è stata ed è ripetutamente oggetto di dibattito, spesso feroce e solitamente dominato da premesse morali, ideologiche o filosofiche che non consentono riflessioni basate su dati, siano essi scientifici, tecnici, legali, o altro, purché liberi da giudizio.
Il risultato è solo uno: si perde attenzione rispetto alle necessità e alle problematiche dei e delle sex workers e per riflesso le politiche in campo sono esse stesse fatte in nome di posizioni morali e ideologiche, con poca preoccupazione del loro impatto sulla salute, la sicurezza e le condizioni di vita delle persone e questo è un fatto.
In Europa esistono tre framework legislativi:
- Depenalizzazione
- Decriminalizzazione
- Legalizzazione
A seconda del framework che si applica, l’impatto sulle e sui sex workers sarà differente e, quanto più si restringe e criminalizza, tanto più verranno a mancare reti di protezione e sicurezza fondamentali.
I maggiori problemi di chi lavora nella prostituzione sono lo sfruttamento, lo stigma, gli abusi e, appunto, la criminalizzazione. Come si affrontano e risolvono?
Un primo passo è smetterla di ritenere il sesso un crimine, il secondo è permettere l’organizzazione dei e delle sex workers in sindacati e gruppi a difesa dei diritti per una maggiore protezione – legale, politica e sociale -.
Tutto questo è possibile?
Sì, lo è, ma prima di discutere delle differenze a livello europeo è bene tenere a mente un punto: benché lo scopo dichiarato di leggi e politiche più restrittive sia quello di colpire (giustamente) le organizzazioni criminali che sfruttano la prostituzione, la tratta e l’abuso delle persone, chi ne paga maggiormente le conseguenze sono coloro che si intenderebbe proteggere e in particolare, tra loro, le donne.
Inutile girarci intorno, lo stigma che definisce la prostituzione e le azioni conseguenti che spesso criminalizzano non solo i e le sex workers, ma anche i loro clienti e familiari, ottengono un risultato opposto rispetto agli obiettivi: perché fino a quando tutto intorno a questo business sarà criminalizzato e penalizzato, difficilmente sorgerà spontaneo l’aiuto, il sostegno, la denuncia, la collaborazione.
Allo stesso tempo tale atteggiamento repressivo indebolisce il supporto e l’aiuto che potrebbe nascere da sindacati e associazioni di sex workers, persone e gruppi in grado di agire dall’interno del “mercato”, risorse preziose non solo per individuare violenze e abusi e denunciarli alle autorità, ma anche strutture cruciali per la cura e la riabilitazione fisica e psicologica delle vittime.
Persistere avendo in mente l’unico scenario “lavoro sessuale/crimine” porta a decisioni legislative dannose che impediscono alle lavoratrici e ai lavoratori di accedere ad un sistema di welfare che è cruciale per, ad esempio, il controllo delle malattie sessualmente trasmissibili, ma non solo, mettiamoci dentro anche la previdenza sociale e la garanzia di protezione giuridica e legale.
Dunque, quale sarebbe la via? In uno statement del 2016, Amnesty dice che le politiche in ogni Stato hanno l’obbligo di rispettare, proteggere e soddisfare i diritti umani dei e delle sex workers e richiede la depenalizzazione di tutti gli aspetti connessi al lavoro sessuale consensuale degli adulti, comprese tutte le leggi che criminalizzano le prostitute, i clienti e le terze parti, nonché la fine dell’applicazione di ogni altra legge discriminatoria contro le e i sex workers.
Tutto questo significa una cosa: legalizzazione. Sotto la protezione della legge è possibile non solo garantire diritti a chi decide di fare questo mestiere, ma anche e soprattutto proteggere e difendere meglio le vittime di sfruttamento abuso e tratta.
Com’è la situazione in Europa?
Una visione di insieme descrittiva, ma non completamente esaustiva è la seguente:
Perché non è completamente esaustiva? Perché in alcuni paesi come Francia o Svezia, benché il crimine non sia il vendere sesso, de facto i e le sex workers sono alveo di discriminazione ed esclusione: lo definiscono “modello nordico”, un modello che non ci piace affatto, nonostante l’allure della parola nordico.
In Italia?
In Italia le leggi sulla prostituzione risalgono al 1958, la famosa Legge Merlin. Il vizio di avere leggi vecchie, inquadrate in ambiti sociali anziani è una nostra specialità. In breve, la legge non criminalizza la prostituzione, ma nemmeno afferma che la prostituzione sia legale, né riconosce il diritto di vendere o acquistare servizi sessuali, in pratica ci suggerisce che se lo fai discretamente a casa tua, va tutto bene, un po’ come raccontano Sophia Loren e Marcello Mastroianni in quel capolavoro di De Sica che è “Ieri, oggi, domani”.
Il tema è complesso, ma straordinariamente attuale, intersezionale, vivo e non parlarne o darlo per scontato è un error . Associazioni e istituzioni come NSWP che è la fonte dalla quale abbiamo tratto questo articolo, sono preziose per delineare la realtà e scrivere le linee guida del futuro in Europa e nel mondo.
Altre fonti:
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