Foundation For European Progressive Studies
Avenue des Arts 46
1000 Brussels (Belgium)
(+)32 22 34 69 00
info@feps-europe.eu

Una chiacchierata con Anna Pompili medica, ginecologa.

Educazione sessuale, contraccezione, aborto, legge 194, obiezione di coscienza, bioetica questi i temi che hanno accompagnato la chiacchierata che abbiamo fatto con Anna Pompili, argomenti complessi e vivi protagonisti del secondo appuntamento con la nostra serie di articoli “Dalla 194 alla 194.000”.

Eros e Thanatos: sesso e stigma.

Nella nostra cultura, la sessualità sganciata dalla finalità riproduttiva viene associata alla bestialità, all’istinto che deve essere controllato dalla ragione. Il filo rosso che lega religione e ragione è l’idea del legame indissolubile tra eros e thanatos, del pericolo insito nel sesso. Ed è ciò che traspare nei programmi di educazione sessuale, nei quali qualunque discorso sulla sessualità non può che basarsi sulla paura dei pericoli che essa cela (le gravidanze indesiderate, le malattie sessualmente trasmissibili). Ed è, ancora, ciò che traspare da tutte le proposte di legge sull’educazione sessuale nelle scuole, che devono forzatamente legare la sessualità all’affettività. Ad entrambe si deve essere “educate/i”, con contenuti più o meno moralistici, ben lontani dall’idea di identità e libertà da qualunque stigmatizzazione, da qualunque cappello ideologico. Liberare dai sensi di colpa, creare conoscenza e consapevolezza, questo può fare molta paura.

La contraccezione non dovrebbe essere scelta per paura, ma per aprire spazi di libertà. Per la cultura dominante, intrisa di preconcetti religiosi, questo è inaccettabile. Allora si allarga la disinformazione e la cattiva informazione sui contraccettivi, e la contraccezione pesa solo sulle spalle delle donne.

Bisogna ragionare su tutti i metodi di contraccezione, non solo la pillola.

Quando si parla di contraccezione si tende a parlare solo o quasi esclusivamente di pillola per le donne. I metodi contraccettivi moderni ed efficaci sono tanti, ma per alcuni -la sterilizzazione maschile e femminile- vi è un tabù che impedisce addirittura di parlarne. La gran parte delle persone crede che le tecniche di sterilizzazione siano illegali, e ciò impedisce di esercitare il diritto di scelta. In particolare, la sterilizzazione maschile è una procedura estremamente semplice, che può essere eseguita in regime ambulatoriale, ma non vi è alcuna informazione in proposito

La contraccezione pesa, dunque, quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. La sperimentazione sulla contraccezione maschile ha una storia di intoppi, blocchi, difficoltà estreme.

Ma anche per le donne, l’accesso alla contraccezione è una corsa ad ostacoli, limitata prima di tutto da una diffidenza culturale verso qualcosa che altererebbe i ritmi “naturali” della donna, con pericoli per la salute, che impongono l’esecuzione di esami tanto costosi quanto inutili se non dannosi, che sono però entrati nel senso comune.

Tutti sanno che la pillola incrementa il rischio di tumore alla mammella, ma nessuno parla della riduzione dell’incidenza dei tumori ovarici, o dell’endometrio, o del colon retto, oltre ai numerosi effetti positivi della pillola, primo fra tutti quello di evitare gravidanze indesiderate.

C’è poi l’ostacolo rappresentato dal costo, perché nel nostro paese la contraccezione non è rimborsata dal sistema sanitario nazionale. Fanno eccezione alcune regioni, che forniscono gratuitamente i contraccettivi ad alcune fasce di “fragili”: giovani, donne indigenti, donne che abbiano già abortito.

Ma la contraccezione è un diritto, e lo è per tutte/i, non solo per coloro che, con l’ennesimo giudizio morale, vengono considerati meno capaci di “controllarsi”

Possiamo prendere esempio, guardiamo all’Europa, ai nostri vicini di casa.  

Educazione sessuale e contraccezione, se dobbiamo citare un esempio positivo guardiamo ad un paese a noi vicino come la Francia.

I programmi di educazione sessuale nelle scuole sono partiti nel 1973 ed ovviamente evoluti ed aggiornati nel tempo e interessano tutti i cicli scolastici. Contemporaneamente a questa educazione laica, olistica e trasversale per la quale il corpo docente deve essere adeguatamente formato e aggiornato, si affianca la garanzia di poter accedere alla contraccezione gratuita e universale per tutte le ragazze fino ai 25 anni e il rimborso del 65% del costo per chi ha più di 25 anni (la gratuità sta anche nella contraccezione di emergenza e nell’IVG farmacologica)

In Francia viene garantita la salute sessuale e riproduttiva in tutti i suoi aspetti, in particolare natalità, contraccezione, aborto: per questo motivo la Francia ha tassi di utilizzo dei contraccettivi e tassi di abortività molto più alti dei nostri, ma anche i tassi di natalità superano i nostri in maniera significativa

la legge 194 riconosce alle donne il diritto alla salute, ma non l’autodeterminazione.

“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.” L’art. 1 della legge 194 definisce l’impalcatura ideologica della legge stessa, che guarda al valore sociale della maternità e non a quello dell’autodeterminazione nelle scelte riproduttive. In questo senso, l’aborto è ammesso solo per salvaguardare la salute della donna, nei casi in la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità potrebbero metterla in pericolo. La legge 194 prende le mosse da una storica sentenza della Corte costituzionale del 18 febbraio 1975, che affermava che “…non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare”.

È una legge di compromesso, ma ha garantito l’accesso all’aborto in più di 44 anni, ed è comunque una buona legge, inapplicata o mal applicata ancora in molte parti del nostro paese, come ci dimostra l’indagine Maidati, condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, oltre alla seppur limitata relazione al parlamento del ministro della salute.

Certamente vi sono parti della legge che dopo 44 anni hanno dimostrato la loro inadeguatezza; quelle parti andrebbero cambiate, perché in alcuni casi sono causa di gravi ingiustizie. Se torniamo a guardare alla Francia, lì la legge sull’aborto è stata cambiata ben cinque volte, aprendo anche all’affermazione del diritto all’autodeterminazione.

La 194 e l’inevitabile discussione sull’obiezione di coscienza.

L’obiezione di coscienza può costituire, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, un importante ostacolo all’accesso all’aborto. Tuttavia, l’introduzione della metodica farmacologica potrebbe limitarne significativamente il peso, e probabilmente questo è uno dei motivi della forte ostilità politica a questo tipo di procedura.

L’aborto farmacologico permette una deospedalizzazione e la diffusione a livello territoriale, nei consultori, della gran parte delle IVG. Ciò permetterebbe di riservare a centri specializzati i casi complessi, che potrebbero assicurare alle donne i migliori standards di trattamento. Questa impostazione significherebbe, ad esempio, non sentir parlare più di raschiamento, tuttora eseguito in molti ospedali italiani.

Ovviamente dovrebbe essere accessibile a livello territoriale con protocolli operativi e linee di indirizzo fondate su basi scientifiche -non ideologiche- e in linea con le linee guida internazionali (ndr Anna Pompili nel Lazio ha combattuto per l’introduzione della RU486 e la sua esperienza è stata da apripista per la sua adozione. Nel Lazio è stato adottato un protocollo operativo che prevede un unico passaggio nella struttura sanitaria e l’assunzione a casa delle prostaglandine).

Lo stesso art.9 della legge 194, che garantisce la possibilità per il personale sanitario di sollevare obiezione di coscienza, sostiene che la struttura alla quale si rivolge la donna “è tenuta in ogni caso ad assicurare l’espletamento della procedura”. Ciò significa ad esempio che se una donna si rivolge ad un ospedale confessionale per la diagnosi prenatale e chiede di abortire nel caso di diagnosi di patologia fetale, quell’ospedale è tenuto a garantire il percorso dell’IVG. Se lì sono tutti obiettori, è comunque loro dovere inviare la donna ad un centro dove possano trattare il suo caso.

Infine, in caso di pericolo per la vita della donna l’obiezione salta, e l’art. 9 ribadisce l’obbligo di assistere la donna anche per gli obiettori di coscienza.

Il caso più volte citato di Valentina Milluzzo non è il caso di una donna morta a causa dell’obiezione, bensì il caso di una pessima pratica clinica, condotta sulla base di preconcetti religiosi arrogantemente portati fino allo stremo. La sentenza di questi giorni ha condannato quattro medici per colpa, e quindi per malpractice.

E se cambiassimo punto di vista?

“Pensiamo davvero che tutti i ginecologi dovrebbero fare le interruzioni di gravidanza? Penseremmo lo stesso per il chirurgo che fa un tipo di interventi e non altri? Non è questa una stigmatizzazione al contrario?

Forse il problema non è l’obiezione di coscienza, ma il fatto che esiste un’obiezione strumentale, finalizzata ad ostacolare l’applicazione della legge 194, una situazione che deve essere minimizzata. Ciò può essere fatto in primo luogo garantendo la deospedalizzazione e la territorializzazione delle IVG farmacologiche e aprendo centri di alta specializzazione per la fisiopatologia della riproduzione, per i casi più complessi.”

E se volessimo migliorare la 194? Da dove dovremmo partire?

Chiarito ampiamente il punto sull’obiezione la quale, di per sé ha già soluzione nell’applicazione corretta della 194, quali sono i punti della legge che è necessario modificare?

  1. Art: 4 Il limite al 90 esimo per l’aborto “on demand”, ossia per l’aborto ammesso sulla base di una valutazione autonoma della donna. Inoltre, in molti paesi il limite è fissato alla cosiddetta “viability”, ossia al raggiungimento di un grado di sviluppo che permette la sopravvivenza del feto fuori dall’utero (l’Abortion Act, la legge inglese del 1967, fissa questo limite alla 24ma settimana) Oggi questo limite, considerando le moderne tecniche di rianimazione neonatale, è fissato alla 22ma settimana
  2. Art: 5 L’obbligo del colloquio e la necessità di avere un documento/certificato redatto dal medico per poter accedere all’IVG. Infine, il cosiddetto periodo di riflessione, che la legge stabilisce nella durata di 7 giorni, è un ostacolo all’accesso all’aborto, ed è stato eliminato in molti paesi
  3. Art: 6 e 7 hanno creato situazioni di grave ingiustizia. Dopo il novantesimo giorno, qualora il feto abbia raggiunto un grado di sviluppo tale da garantirgli la possibilità di sopravvivere al di fuori dell’utero, l’aborto è ammesso solo nel caso in cui vi sia un grave rischio per la vita della donna e in questo caso: il medico che esegue l’aborto deve fare di tutto per salvaguardare la vita del feto. Poiché per l’aborto in quest’epoca si deve provocare un travaglio abortivo, non potendo eseguire il feticidio, il rischio è che nasca un bambino gravemente malato, con l’aggravante dei danni legati alla grande prematurità. Per questo motivo, nessun centro in Italia esegue IVG oltre la ventiduesima settimana (tranne casi particolari), e le donne sono costrette ad andare all’estero per esercitare il loro diritto alla salute.

Faccio il mio lavoro con passione.

“Faccio il mio lavoro con passione, con la consapevolezza che con questi piccoli atti quotidiani si può cambiare il modo di fare medicina, si può contribuire ad affermare un modello di medicina che ha le persone al centro e che punta al loro “empowerment”, riconoscendo il valore morale delle loro scelte.  Questo implica attenzione e sensibilità verso le altre, senza mai giudicare, avendo sempre presente l’idea di garantire la salute, la libertà di scelta e l’autodeterminazione.”

Anna Pompili è medica, ginecologa e responsabile del Servizio Applicazione Legge 194/78 del Centro per la Salute della Donna Sant’Anna della ASL Roma1. È professoressa a contratto della Scuola di specializzazione in Farmacologia Medica, Università degli Studi di Roma “Sapienza”. Da sempre impegnata nel campo dei diritti riproduttivi, è cofondatrice di AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto).

Per approfondimenti:

  • Testo della legge 194: Qui
  • Articolo di Anna Pompili a proposito di contraccezione: Qui
  • Anna Pompili e la RU486: Qui
Author avatar
YouSocialist

NEWSLETTER

YouSo Talk:
non una semplice newsletter.

Con YouSo Talk proporremo in anteprima le interviste (video e non), i racconti, le esperienze dei Rebels e di YouSo, ma anche long form e contenuti extra. Se pensi anche tu che ogni tanto sia importante prendersi dieci minuti per rimanere in ascolto, prendi il tuo biglietto per gli YouSo Talk, ti basta solo compilare il form.

Post a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *