Mi chiamo Joele Corigliano e mi sento parte di quell’onda di Millennials e GenZ che lotta per una società più equa, solidale e inclusiva.
Se hai 21 anni e vieni da una provincia di confine come quella di Imperia, nasci e cresci in un contesto sociale diverso da chi nasce e cresce in città metropolitane come Milano, Firenze, Roma o Torino, giusto per citarne alcune. All’inizio non te ne rendi conto poiché si diventa grandi all’interno di un’omologazione provincialista, talvolta sorda e cieca al mutare delle cose, figlia di quel modo di pensare un po’ da boomer e un po’ da persona affetta da daltonismo dicotomico. Crescendo in un contesto del genere si osservano i fenomeni più progressisti che toccano i grandi centri urbani del paese con un certo distacco, con un senso di impotenza. Vedi le cose in maniera più lontana quando invece, inconsciamente, quelle stesse cose non ti sono mai state così vicine.
Una volta che si esce dai confini provinciali vedi il luogo di partenza con occhi diversi. È il momento della presa di coscienza. Comprendi che quel mondo più vivo e dinamico, che sta oltre alle colline aride della Liguria, in fondo non è poi così lontano, eppure realizzi che quelle stesse battaglie non sono uguali per tuttə. Comprendi che lottare per i diritti delle persone lgbt+ a Milano è una cosa, ma farlo a Imperia assume un significato molto diverso.
Perché è quando osservi il luogo di partenza con gli occhi di chi è cresciuto altrove, ne detrai un rapporto conflittuale basato sulla voglia di cambiare le cose, di essere in un certo senso gli autori di una spinta rinnovatrice sia cultura sia sociale. Ed è qui che comincia la sfida.
Molti di noi non lo sanno nemmeno, ma la nostra lotta si intreccia inesorabilmente con la storia del nostro territorio. Difatti il primo pride italiano si tenne proprio a Sanremo nel 1972. Fu un momento rivoluzionario. Fu un momento in cui per la prima volta si decise di andare controvento.
A distanza di cinquant’anni dalla Stonewall italiana il 9 aprile di quest’anno Sanremo si è tinta dei colori dell’arcobaleno. L’orgoglio dilagava in città. C’erano coloro che queste lotte le hanno condotte nei decenni passati, ma c’erano soprattutto loro: le nuove generazioni.
Sembra assurdo, eppure un pride a Sanremo, già soli dieci anni fa, sarebbe stato molto diverso.
Ma perché Sanremo è in qualche modo un mito per chi crede nella lotta per i diritti?
Il 5 aprile 1972 il CIS, Centro Italiano di Sessuologia, inaugurò il primo Congresso internazionale di Sessuologia sul tema “Comportamenti devianti della sessualità umana” al Casinò di Sanremo. Il Congresso prevedeva una sezione sull’eziologia dell’omosessualità ed una intera mattinata dedicata alle terapie, soprattutto psicologiche e psichiatriche, col fine di discutere su come curarla. Bisognerà poi aspettare solo il 1990 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità decise di togliere l’omosessualità dalle malattie mentali.
Ma davanti al bigottismo di chi pensava che l’omosessualità fosse una malattia, il mondo lgbt+ italiano dell’epoca reagì per la prima volta nella nostra storia. Ebbe così luogo la Stonewall d’Italia. Non vennero lanciati tacchi contro la polizia come successe a New York, ma si riuscì ad essere incisivi liberando spray maleodoranti all’interno della sala del convegno.
Questo gruppo autogestito che si ritrovò per la prima volta a Sanremo prese coscienza di sé. Si ritrovarono poi anche fuori come un tutto organico unito dalla volontà di essere ascoltati. Qui un ruolo essenziale lo ebbe il Partito Radicale che iniziò a far luce sui temi della comunità lgbt+. Non c’era più la volontà di nascondersi. C’era la volontà di essere parte di un cambiamento che in Italia trovò molti ostacoli e che ancora oggi, nonostante la società abbia compiuto grossi progressi, talvolta persistono.
Quel fronte omosessuale unitario e rivoluzionario è stato il punto d’inizio di una libertà non ancora del tutto conquistata. Quel fronte ha dato vita a una lotta che oggi esiste, resiste ed insiste col fine di garantire una società più equa ed inclusiva, che guarda alle nostre unicità con rispetto e senza alcuna discriminazione.
Oggi questa lotta continua con una determinazione che forse non ha eguali nei decenni passati.
Le nuove generazioni, la mia generazione, affronta la questione con una maturità e un rispetto che si scosta da quel machismo nichilista e patriarcale che ha segnato le generazioni dei nostri genitori. Loro sono cresciuti avendo come riferimento una televisione generalista, spesso misogina, degli anni Ottanta e Novanta, mentre noi stiamo vivendo in un mondo dove i social racchiudono testimonianze di vita che consentono di connettere chi, oggi e ieri, ha vissuto il proprio orientamento sessuale e la propria identità sessuale come un difetto. Una presa di coscienza collettiva sostenuta anche da quel concetto valoriale che gli americani chiamano “representation matter”. Il vedersi rappresentati o l’immedesimarsi in protagonisti omosessuali nei film o nelle serie tv emergenti ha una valenza straordinaria nella vita di un adolescente. Il sentirsi parte di una comunità permette di raggiungere quella sana consapevolezza che non è individui soli e diversi, ma si è come gli altri secondo le nostre unicità. Il sapere di non essere soli oggi è una percezione sensibilmente più diffusa di tanti anni fa.
Il coraggio di una generazione e la sete di essere visti e ascoltati permette di abbattere ogni barriera sociale, sia quelle che ci autoponiamo sia quelle che ci vengono imposte.
Lo hanno dimostrato le piazze che hanno reagito spontaneamente in tutte le città italiane prima in sostegno al ddl Zan e dopo in protesta al suo affossamento. Mentre la politica risulta sorda alle richieste della società, quest’ultima dimostra di essere più avanti rispetto ai suoi stessi rappresentanti. La malsana destra che si propone oggi al comando del paese è una destra ricca di esponenti figli di quell’omofobia. Quella stessa omofobia che nutriva i partecipanti al Convegno sanremese del ‘72.
Loro sono rimasti gli stessi, noi siamo diventati più forti. Loro ci ostacolano, ci deridono, vogliono che le nostre vite siano quanto più lontane possibile dalle loro. Vogliono una società diversa, rivogliono quella del dopoguerra, dove chi faceva coming out subiva una censura sociale, doveva rimanere nascosto, perché considerato deviante o semplicemente non normale.
Noi oggi siamo quell’onda che controvento smuove le acque di una società troppo spesso incancrenita e appiattita sugli slogan. Ma oggi il vento sta cambiando grazie anche a chi nel 1972 decise di porre la parola fine alle oppressioni e le incomprensioni. La società stessa sta progredendo nel suo percorso di rinnovamento interno. E il motore di questo rinnovamento è la nuova linfa del nuovo millennio, quella linfa siamo noi. Noi, le nuove generazioni.
Joele Corigliano
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